LA “PESTE” DEL NOSTRO SECOLO

ansiaLa natura, con la sua saggezza incosciente, ha sempre cercato di calmierare l’ingombrante arroganza della specie umana con malattie che ci hanno ricordato brutalmente la nostra costituiva fragilità.
O, almeno, questa è un’interpretazione di tutte quelle pestilenze che hanno ciclicamente decimato la popolazione mondiale. Alcuni hanno dato la colpa ad un cupo destino, per altri era la mano di Dio che si chiudeva a pugno contro l’empietà, altri ancora hanno cercato risposte nella scienza. Seguendo quest’ultima via, l’essere umano ha contrattaccato con le armi del progresso e della tecnica: la nostra mente sembra in qualche modo riuscire a compensare le debolezze del nostro corpo e molte “punizioni divine” sono state debellate.
Eppure, il nostro secolo non è orfano della sua “peste personale”: ad oggi è l’ansia a mietere più vittime che mai nella storia dell’uomo. Questa sorta di oscuro mostro mitologico potrebbe essere raffigurata con mille tentacoli, viscidi ed ombrosi, capaci di stringersi attorno alla più insospettabile delle vittime. Nessuno è immune, non c’è modo di vaccinarsi e i sintomi possono non essere immediatamente riconoscibili. Chiaramente l’ansia non è una compagna nuova per l’essere umano, al contrario nasce e cresce insieme a lui più che con qualsiasi altra forma di vita, pur non fermandosi di fronte a nessuna di esse. Se però questo mostro è vecchio quanto noi, non è mai stato potente e minaccioso come nel nostro secolo; perché?
Si possono trovare molte risposte a questa domanda e, probabilmente, nessuna di essa è sbagliata, ma se dovessimo individuarne le cause principali potremmo ridurle a tre: tempo, esposizione e ύβρις [“übris”, termine greco traducibile con “tracotanza”].
La prima di quelle elencate è piuttosto semplice ed intuitiva: l’uomo contemporaneo, generalmente, dispone di molto più tempo libero di quanto abbia fatto nei secoli scorsi. Quando non siamo impegnati in qualcosa che ci richiede particolare concentrazione, la nostra mente è libera di viaggiare, di esplorare antri di noi stessi la cui conoscenza non è semplice da gestire, da sopportare. Essere mentalmente liberi vuol dire aver modo di analizzare qualsiasi cosa più e più volte e l’analisi, oltre a essere una delle più produttive capacità umane, ha un potere talmente forte da deformare la realtà delle cose con la stessa facilità con cui le identifica per ciò che sono.
Sia chiaro, il punto non è che “pensare fa male”, ma che le potenzialità del pensiero possono rivelarsi per l’uomo che non vuole stagnare nella superficialità: si tratta della situazione dell’eroe tragico, che viene condannato proprio a causa delle sue eccezionali qualità.
Parlando di ciò che ho chiamato “esposizione” si ripropone la dinamica della “lama a doppio taglio”. Infatti, se è vero che l’essere umano è un animale sociale, che l’isolamento gli risulta innaturale, è altrettanto vero che chiunque è inevitabilmente influenzato anche dalla sola possibilità del giudizio altrui, dall’insidioso timore di non essere all’altezza. La nostra società ci ha progressivamente portati ad uno stato definibile di “iper-esposizione”, amplificando così la  sensazione di essere costantemente osservati e, pertanto, giudicati. Dietro a questo fenomeno non si cela nessun complotto: i progressi della tecnologia e dei mezzi di trasporto hanno incrementato massicciamente l’interazione tra gli uomini e questo ci ha aperti ad una nuova comprensione del mondo e di noi stessi, ma ha contemporaneamente offerto nuove potenti armi all’ansia che da sempre ci accompagna.
Infine, si è parlato di ύβρις: i greci consideravano l’arroganza umana il più grande affronto nei confronti degli dèi, ciò che sopra ogni altra cosa avrebbe condotto ad atroci punizioni.
Le strabilianti potenzialità umane, i successi ottenuti in ogni ambito, ci hanno portati a ritenerci pressoché onnipotenti ed a vedere ogni piccola debolezza come una terribile vergogna. È come se fossimo tenuti ad essere inscalfibili, sereni, equilibrati e nel momento in cui non ci riusciamo ci affanniamo a provare a nascondere questa “macchia” e a colpevolizzarci, finendo così per ingigantire l’ansia. Il mostro cresce, si fa onnipresente e impossibile da ignorare. Ciò a cui non viene prestata attenzione, invece, è che combattiamo tutti la stessa battaglia contro quell’unico nemico dalle mille facce e che se smettiamo per un attimo di definirlo “mostro” ci accorgiamo che non è altro che parte di ciò che siamo.
Prendere per mano l’ansia le impedirebbe di imbracciare armi distruttive.

Giulia Righetti

4 commenti

  1. Come diceva mio padre, classe 1930, il primo a laurearsi in Italia in psichiatria (non è vanità e non dico fesserie, tutti quelli che si laurearono, parlo di specializzazione ovviamente dopo regolare laurea in medicina, quel giorno nelle Università italiane, sono stati i primi a laurearsi in psichiatria) visto che entrava in vigore per la prima volta questa specializzazione che prima di quel giorno si chiamava neuro-psichiatria, poi divisa appunto in neurologia e psichiatria: Di ansia non è mai morto nessuno.

    Riguardo i medicinali non darei consigli, sopprimere l’ansia con un qualsiasi ansiolitico senza consultare un medico specialista (neurologi, psichiatri o psicologi non freudiani – Freud come tutti sanno non ammetteva l’uso di farmaci in analisi, sostenendo che ottenebrava la lucidità del paziente falsando l’analisi… così come sosteneva che l’ipnosi era un trucco, senza rendesi conto di negare al contempo anche la suggestione – cosa molto comoda all’Imperatore austro-ungarico che infatti gli assegnò la prima cattedra di psicologia al mondo per cui il giovane Freud lasciò Parigi, sottoscrisse un elaborato in cui appunto negava che la suggestione avesse un qualche valore scientifico, salutò i colleghi Charcot, Adler e altri, che invece si rifiutarono di sottoscrivere quel documento, e se ne tornò a Vienna da eroe) in quanto sono definiti sintomi ansiosi l’attacco di panico, l’ansia da prestazione, aracnofobia, claustrofobia, etc…. Coprire i sintomi dell’ansia, che potrebbero nascondere come dicevo patologie non pericolose ma certamente fastidiose, con automedicamenti e pressapochismo è altamente sconsigliato.

    C’è da sottolineare poi che esiste un’ansia positiva e una negativa, l’ansia negativa non compare, a meno di specifiche patologie, fino all’età di circa 40 anni, prima di tale periodo genericamente si parla di ansie positive (non riuscire a dormire prima di un bel viaggio che ci aspetta o di una gita, perchè siamo innamorati…) nel caso di insonnia perchè domani c’è interrogazione e non abbiamo studiato è preferibile definirla preoccupazione più che ansia.

    Molto apprezzabile l’articolo, un approccio filosofico-letterario e poetico al problema.

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