Come fingersi saggi in 2 stupide mosse

untitledQuesto merita un post. Ho 5.000 amici su FaceBook, e poco più di 1.000 “seguaci” o “followers” come si dice in inglese. No, non è questo che merita un post. Ho una pagina di poco più di 4.000 “fans”. Sono quindi una persona con un piccolo seguito. Niente di eccezionale di questi tempi. Non è nemmeno questo, sicuramente, a meritare un post. Perché mi seguono? Ovviamente non posso essere sicuro della risposta a questa domanda. Di sicuro ho una laurea in filosofia a Firenze, un master a Rimini e un altro a Parigi. Di sicuro sono da 10 anni il direttore del festival della filosofia di Firenze. Ma niente di questo merita un post e niente di questo è il tema di questo articolo.
Il tema di questo articolo sono i parametri della saggezza. Cosa ci voglia per ESSERE saggi è materia che potrete conoscere solo arrampicandovi su alte montagne e parlando con santi uomini che sanno cose che io non so. Quello che invece posso divi io è lo schifoso e perverso meccanismo con il quale si può ESSERE RITENUTI saggi. Le strade sono 2, una più vomitevole dell’altra, ed io le ho percorse in parte entrambe. La prima strada sta nel essere accreditato da un’istituzione che garantisce per voi. Il professore, per definizione, è saggio. Qualsiasi cosa dica. La seconda strada è dire esattamente quello che le persone già considerano saggio, diventando così perfettamente inutili. Perché è chiaro che se la saggezza non serve ad aprire nuove vie, non serve a niente. Secondo questo secondo criterio negli anni ’60 eri saggio se dicevi che la ricerca spirituale era una cosa che poteva avere senso solo collettivamente, oggi sei saggio se dici che l’unica via spirituale è quella dentro ognuno di noi. Insomma, non è filosofia o religione, ma moda.
Quello che mi colpisce è che spesso quando le persone mi chiedono l’amicizia dopo avermi conosciuto per questo o quel motivo mi mandano messaggi fantastici pieni di “Professore”, “Maestro” o “Direttore”, pieni di umiltà e vogliosi di sentire quello che ho da dire. Appena però pubblico qualcosa di diverso da quel che già pensano loro, ecco che sono loro a voler dare lezioni a me. Il che sarebbe bellissimo se non avvenisse solitamente su temi che conosco più di loro e magari dicendomi qualcosa di nuovo, qualcosa che hanno davvero pensato con la loro testa, invece che lanciandomi addosso banalità su banalità, cose che ovviamente ho sentito e risentito e che – se scrivo quel che scrivo – ho già scartato a ragion veduta. Questo fenomeno non tocca solo me ma un po’ tutti su FaceBook e sui social media più in generale. Sei sempre un maestro finché dici al discepolo quello che già conosce e già gli piace. Ovvero: sei un maestro quando non lo sei. Sei celebrato finché sei inutile.
Un fenomeno secondario che ho spesso notato è che se sottoponi al “discepolo”, “fan”, “seguace” o come preferite chiamarlo qualcosa che va oltre i suoi limiti individuali strutturali, questo reagirà con dislogismi oppure lancerà a voi l’accusa di avere il suo difetto. Mi spiego meglio.
I “limiti individuali” sono semplicemente i limiti della mia personalità. Se io da domani fossi costretto a lavorare per Merdonald’s, ad esempio, la persona che sono morirebbe e ne nascerebbe un altra. La persona che sono NON PUÒ lavorare da Merdonald’s restando viva. Questo è un mio limite individuale. È un limite individuale abbastanza elastico e di cui riesco a parlare perché l’ho deciso io attraverso l’analisi delle mie esperienze e la conseguente costruzione di una teoria razionale. Lo possiamo quindi chiamare “limite individuale razionale”. Può essere pericoloso ma mai come il suo fratellino, il limite individuale strutturale”. I limiti individuali strutturali sono quei limiti della nostra identità che nascono e crescono con noi e dei quali siamo molto meno in grado di parlare, coi quali siamo ben poco in grado di trattare e dei quali è difficilissimo se non impossibile liberarsi. Non posso fare un esempio di uno dei miei, proprio perché sono quasi invisibili a noi stessi, ma diciamo che esista un certo Beppe che fuma perché tutti i maschi della sua famiglia fumano, o una certa Lalla che si sveglia sempre alle 7 di mattina perché in orfanotrofio le dicevano che chi si sveglia tardi è un bambino cattivo. Quelli sono limiti identitari strutturali. Non li hanno decisi loro, gli sono stati imposti quando non erano in condizione di reagire. Quelli bravi quando ci sbattono contro capiscono di che si tratta e si mettono in silenzio oppure ammettono il loro limite. Quelli ancora più bravi riescono a sconfiggere alcuni di questi limiti con la razionalità. Ma di solito le persone non sanno neppure di avere questi limiti e quando ci vanno a sbattere si comportano come animali in gabbia: contrattaccano con dislogismi palesi oppure ti dicono che il difetto lo hai tu, come i bambini delle scuole elementari. Scendiamo in qualche esempio per capirci meglio.
Se il mio limite individuale strutturale fosse il fumare, quando una persona ragionevole mi fa vedere con dati alla mano che questo mi ucciderà posso reagire o ammettendo il mio limite, o combattendo il mio limite ma più facilmente reagirò o
a) con un dislogismo: “di qualcosa si deve pur morire”. Questo è un dislogismo, ovvero una stortura della logica. Sicuramente dobbiamo tutti morire di qualcosa ma compiere gesti che avvicinano alla morte, non lo faremmo mai. A meno che non desideriamo la morte (caso raro ma esistente) o che quel gesto sia appunto, come in questo caso, un limite individuale strutturale.
b) con uno “specchio-riflesso”: “dovrai smettere di fumare tu! Fumi molto più di me!”. Questo, se anche fosse vero, non toglierebbe niente al fatto che fumare fa male, anzi se mai vorrebbe dire che devono smettere tutti e due. Per di più, di solito, chi viene colpito dallo “specchio-riflesso” è quasi o del tutto innocente. Probabilmente fuma meno del soggetto che si sente attaccato, ma il soggetto che si sente attaccato pensa di poter fare in modo che l’affermazione lo distragga quel tanto da riuscire a cambiare discorso, oppure peggio: nella sua testa il ragionamento fila. Così mi è capitato che una persona che non riusciva a smettere di mangiare carne dicesse che “ero chiuso di mente”, un altro che pretendeva che io gli fornissi i miei servizi gratuitamente mi accusasse di “credermi chissà chi” e via e via…

Morale della favola: non tutte le favole hanno una morale. Ma questa sì. Ed è: quando vi trovate davanti ad un limite individuale strutturale cercate di capire con cosa avete a che fare invece che rifarvela con il povero interlocutore che, a mostrarvi un vostro limite, vi sta solo facendo un grandissimo favore. Vi sta dando uno strappo sull’autostrada della ricerca della saggezza. Quella vera, che si chiama anche consapevolezza. Che pochi riconoscono, ma che è il senso della vita.
E io? Io continuerò a cercare di dire il meno possibile cose che sembrino sagge e il più possibile cose che lo siano davvero. Per quel che mi riesce.
Buona ricerca a tutti.

Guido G. Gattai

3 commenti

  1. Bell’articolo, la definizione di limite individuale strutturale mi ricorda l’analisi di Baumann sulla ricerca della felicità.. dovrei ragionarci un pò su… penso che salverò questa pagina per rileggermela ancora un paio di volte con calma.
    Grazie

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