TECONOLOGIA: comando e alienazione

featuredIl potere centrale (che non è né una persona né un gruppo di persone ma una tendenza umana) ha l’unico bisogno di preservarsi. Per preservarsi deve sempre ingrandirsi e fare in modo che niente sfugga al suo controllo visto che ogni altro potere potrebbe rappresentare una potenziale minaccia.
La tecnologia, da questo punto di vista, gli serve per vari scopi ma qui ne analizzeremo due in particolare: il comando e l’alienazione.

Iniziamo dal comando: niente come la tecnologia può portare al comando sui popoli. Se si mette una legge che dice di non superare i 130 km/h in autostrada si può stare sicuri che qualcuno andrà tranquillamente anche a 140 km/h o perfino 200 km/h se la strada è sufficentemente libera o se il guidatore è sufficentemente ubriaco.
Ora invece pensate a una nazione in cui non si producano macchine che superano i 130 km/h. Mai, per nessuna ragione. Impossibile acquistare una. All’inizio i guidatori inizieranno a cercare di modificare i motori, ma le industrie potrebbero contrattaccare rendendo i motor quasi impossibili da modificare, sempre più complessi, con meno viti e più chiusure stampate, o magari con schede madri integrate, come quelle dei tablet, di modo che non sia possibile modificare niente al loro interno. A quel punto state pur sicuri che nessuno andrà a più di 130 km/h. Rimarranno sempre quei due o tre che riescono a farlo ma farlo sarà diventato difficilissimo, quasi un mestiere, quindi a livello sociale si potrà dire che “il residuo è irrilevante” ovvero il numero di coloro che non si comportano come vogliamo sarà talmente piccolo da essere irrilevante per le statistiche. Una cosa impossibile da ottenere con la semplice applicazione di una legge – anche nel popolo più rispettoso delle leggi!
L’esempio che ho fatto è ovviamente virtuoso, sarebbe molto bello che non si producessero automezzi capaci di superare i 130 km/h (a parte ambulanze, vigili del fuoco o altri mezzi d’emergenza, si capisce), ma la stessa efficacia di comando si può applicare a qualsiasi intenzione. Anche se ben più perversa.
Pensiamo ad esempio al fatto che Facebook può decidere quanto tempo impieghiamo per postare una cosa su una pagina. Se posti una volta ogni due o tre giorni sul tuo profilo questo è chiaramente irrilevante ma se lo fai di lavoro di fatto vuol dire che Facebook può decidere i tempi della tua vita. E oggi un’alta percentuale dei mestieri includono anche Facebook e una piccola percentuale sono addirittura composti dal solo utilizzo di Facebook, in un modo o in un altro.
Ma c’è di peggio. Facebook può decidere che il mio account abbia un determinato suo aggiornamento mentre il tuo ne abbia un altro. Se gestiamo pagine rivali e la mia versione è abilitata a postare più velocemente della tua, di fatto Facebook può decidere chi di noi due vincerà la competizione.
e-finita-libro-sei-una-tecnologia-inferioreMa me la sto prendendo solo con Facebook. Che dire di chi produce i tablet, o i sistemi operativi come Windows, Android o iOS? Possono decidere come facciamo quasi tutto, e nel decidere il come spesso si riesce a decidere almeno in parte – ma in parte consistente – il cosa. Che dire di chi produce i pezzi delle automobili sempre più fusi tra loro, decidendo così di fare di noi dei consumisti senza scampo. Vuoi cambiare solo una lampadina? Non tela vendono più, devi cambiare tutto il fanale. Vuoi cambiare solo la spazzola del tergicristallo? Impossibile, oggi vendono solo tergicristalli interi. E via e via…
Sottraendoci il come di tutto ciò che facciamo nella vita, attraverso la tecnologia il potere centrale riesce a sfilarci dalle tasche anche il cosa facciamo. Impercettibilmente ma decisamente, come un ladro nella metro di Parigi.


L’altra funzione della tecnologia di cui voglio parlare è la virtualizzazione, o alienazione. La tecnologia oggi permette al potere centrale di trasformare il pianeta terra in un enorme gruppo di controllo per un esperimento di Milgram di portata planetaria.

Noi sappiamo benissimo che i nostri privilegi poggiano sull’infelicità, il dolore e la morte di miliardi di innocenti. Ma grazie al medium tecnologico questo diviene per noi accettabile. Per  banalizzare: “occhio non vede, cuore non duole”.
A dimostrazione di questo, appena un bambino invece di morire nel suo paese lontano dalle telecamere, viene a morire nei nostri mari o sulle nostre spiagge, il cuore non ci regge e urliamo fuori tutta la nostra indignazione. Per. Un. Solo. Bambino.
Secondo le fonti dell’UNICEF, di bambini ne “muoiono per fame” circa 3.000.000 all’anno. Se ci fermiamo a pensare un attimo sappiamo benissimo che i bambini non “muoiono per fame” a caso ma perché noi li uccidiamo avvelenando la loro acqua, distruggendo le loro foreste, bombardando le loro case e le loro infrastrutture fondamentali come ospedali o depositi di cibo.
Insomma, grazie alla tecnologia, che ci fa guardare tramonti in tv e gattini che sbadigliano su Instagram, ci diviene più facile, anzi facillimo, non pensare a quello che sappiamo benissimo: che quei tre milioni di bambini all’anno li uccidiamo noi, come ricordava in un bellissimo monologo il grande Alberto Sordi alla fine dello splendido film “Finché c’è guerra c’è speranza”.
Tutto è irreale, virtuale,  patinato, sognante, tutto è luccicante. E così non si vede l’orrore. Non ci si pensa. Lo si sopporta. Tranne quando viene a bussare alla porta. Allora ci si indigna, si piange un po’, ci si pulisce la coscienza.
In natura non esiste alcun altro animale che predi piangendo. Tutti gli animali che predano trovano giusto predare. Ma a noi non va bene. Perché abbiamo bisogno di una doppia morale: in casa non vogliamo dover temere il vicino e quindi stigmatizziamo la violenza e facciamo professione di bontà, così che possiamo dormire sonni (relativamente) tranquilli ma poi vogliamo anche i privilegi che vengono dalla superiorità bellica. E quindi opprimiamo altri popoli. Anche e soprattutto perché “meglio noi che loro” e poi… “loro al nostro posto farebbero lo stesso”. Che magari sono anche affermazioni vere ma la conseguenza di tutto questo bel ragionamento alla fine è che ci chiudiamo in un enorme Matrix con le nostre stesse mani e perdiamo completamente di vista la realtà delle cose. Con tutto quello che ne consegue.
Cosa succede a chi perde di vista la realtà? Perde la capacità di vedere i problemi reali. Ne finisce schiacciato. Ad esempio può votare una o più persone che – facendo perno sulla sua ignoranza – riescono a convincerlo di essere meritevoli e poi fanno leggi che gli distruggono la vita. Oppure può crearsi dei rapporti interpersonali terrificanti che poi finiscono per rendergli ogni giorno una tortura.
E quando tutto diventa assolutamente insopportabile non sempre ulteriori dosi di alienazione riescono a far “passare il pensiero”.

E con ciò? Che fare?
Innanzitutto vivere con il minor utilizzo di tecnologia possibile. Questo sempre. Poi cercare in ogni caso di trovare sempre un modo di schivare i comandi imposti dalla tecnologia e di non credere alla virtualizzazione alienante del reale.
Ricordarsi che noi viviamo sul sangue di altri esseri umani. E sta a noi, ad ognuno di noi singolarmente, non ai grandi sistemi, a ognuno di noi, scegliere quanto vogliamo pesare. Dipende da cosa compriamo, che macchina abbiamo, se compriamo vestiti nuovi o usati, cosa mangiamo, e via e via. L’unica maniera di non pesare per niente è uccidersi. Ma anche in quel caso: chi prenderà il nostro posto? E se poi il nostro posto venisse preso da qualcuno che peserà ancora di più?
Non c’è una via sola, né tanto meno una via precisa per sfuggire a tutto questo, ogni strada è tortuosa e faticosa. La principale sarebbe in teoria il ritorno radicale all’economia di agricoltura diretta, ma non sarebbe certo una strada facile o priva di inconvenienti.
Bisogna riuscire a calmierare gli elementi del potere centrale, visto che il potere centrale in definitiva siamo noi, e spetta noi dargli più o meno potere di epoca in epoca. E in quest’epoca gliene stiamo dando decisamente troppo a occhio e croce.

Guido G. Gattai

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