Oggi nasceva Giorgio Gaber ed abbiamo deciso di ricordarlo con un bell’articolo di una giovane studentessa che lo riscopre invece che chiamare il solito studioso che sa tutto, perché Gaber è vivo, Gaver deve essere vivo, ce n’è bisogno. Buon Gaber-day a tutti!
Ad un primo sguardo un po’ superficiale del suo aspetto mi sono chiesta che tipo di fascino e carisma potesse avere un uomo così brutto… un naso preponderante su tutto il volto, lo sguardo con gli angoli esterni degli occhi rivolti verso il basso, una sorta di cifosi che lo rende un po’ incurvato in avanti e quei vestiti o troppo larghi o troppo stretti ma decisamente quasi mai della sua misura. Eppure è stato un cantastorie di straordinaria eccellenza, uno che scriveva e cantava del contesto sociale e politico degli anni 70 quando c’era un forte fermento rivoluzionario.
Cantante, intellettuale, politico… non c’è una categoria che possa definire la personalità straordinaria di Giorgio Gaber, che ha lasciato il segno e ha fatto scuola.
Nacque nel Gennaio del 1939 a Milano, figlio di un impiegato e una casalinga. Visse in un contesto di medio-piccola borghesia ed il suo cognome, Gaberščik, aveva origini istriane.
Incominciò a suonare la chitarra per un infortunio al braccio, con lo scopo di una rieducazione motoria, e ciò lo inoltrò nel mondo della musica. Si laureò in ingegneria, ma la sua “scuola” si svolse nei sobborghi di Milano, nei bar e nelle sale da ballo dove conobbe personaggi che di lì a poco divennero protagonisti in alcune delle sue canzoni. Negli anni ’60 diventò uno dei migliori bassisti del paese nonché uno dei pionieri del jazz italiano. Alcune delle sue canzoni primogenite, ancora leggere e disimpegnate, che narrano la febbrile vita quotidiana della Milano del boom, diventarono ritornelli ascoltati ovunque e resero presto Giorgio un’icona nazional-popolare. Uno dei personaggi più popolari dell’Italia del dopoguerra. Da questa icona ne nasce però una seconda: il Gaber “politico” che attuava
una sorta di satira nei suoi testi nei confronti delle estremità, come in “qualcuno era comunista” dove puntualizzava i limiti e le contraddizioni della sinistra: “Qualcuno era comunista perché glielo avevano detto, qualcuno era comunista perché prima era fascista, qualcuno era comunista perché aveva capito che la Russia andava piano ma lontano, qualcuno era comunista perché era ricco ma amava il popolo, qualcuno era comunista perché non ne poteva più di fare l’operaio”.
Sono gli anni ’70, Gaber si interessa di teatro, è la “fase de Il Signor G”, una fase totalmente nuova, in cui intraprese il confronto col pubblico sulla possibilità di cambiare il mondo. Nei dialoghi durante gli spettacoli egli tentava di ritrovare una certa unità a favore del credere e dello sperare, provocando e denunciando tutto ciò che riguardava il ridotto orizzonte borghese.
Egli voleva una rivoluzione incentrata sulle persone e il suo obbiettivo era quello di ispirare innovazione negli animi degli italiani abbattuti, con il cassetto dei sogni ancora chiuso.
Giorgio Gaber ha scritto ed interpretato monologhi perfettamente inseriti nel contesto di quegli anni ed il suo talento è diventato straordinariamente celebre. Ero già a conoscenza di molti dei suoi brani e ultimamente, cercando di approfondirne i temi, ho provato a coglierne l’essenza: egli riesce ad esprimere la forza delle idee, in ogni canzone, in ogni parola, di chi analizza la realtà cercando di guardare oltre le cose. Per esempio in “libertà”, che Gaber ha scritto insieme a Sandro Luporini nel 1972, io ho percepito il mutamento della società che usciva dai conformismi degli anni 50/60 e la voglia di affermare il cambiamento. Il testo recita così: “Vorrei essere libero, libero come un uomo; un uomo appena nato che ha di fronte solamente la natura e cammina dentro un bosco con la gioia di seguire un’avventura. Sempre libero e vitale fa l’amore come fosse un animale. Incosciente come un uomo compiaciuto della propria libertà. La libertà non è star sopra un albero, non è neanche il volo di moscone, la libertà non è uno spazio libero, libertà è partecipazione”. Gli anni di Gaber erano caratterizzati dal contrasto Stati Uniti-Russia, e in Italia il fermento politico era molto deciso: Comunisti e Democristiani. Il dibattito politico coinvolgeva tutti: o si stava nelle parrocchie, o nelle case del popolo e Giorgio nelle sue interpretazioni raccontava della forza degli ideali. Io credo che la mia generazione provi un’attrazione inspiegabile per quel ”sentire”. Noi siamo quelli del “politicamente corretto”, delle “piazze virtuali”, degli hashtag “#nopartecipazione”, cosa c’entriamo noi gioventù “perfettina” con Gaber?
Secondo me c’è qualcosa che di lui va oltre il tempo ed è la “rivoluzione delle idee”. I giovani del XXIesimo secolo hanno bisogno di riappropriarsi delle idee di farle proprie e di farle valere con forza, con passione, con energia, senza compromessi.
Siamo una generazione che qualche anziano ha definito “di bamboccioni”, abbiamo la pappa scodellata dai nostri genitori, che in molti casi ha talmente soddisfatto i nostri desideri da castrare i nostri sogni. In questa critica riconosco quella che Giorgio Gaber faceva alla classe sociale della medio borghesia, pur facendone parte, che era tutta attenta a non perdere i privilegi della propria condizione. Siamo una generazione che ha bisogno di riscoprire la passione che dà vita e grinta alla propria esistenza. Così guardando certi sketch tra Giorgio e Enzo Iannacci mi è venuta voglia di entrare in quello spirito misto tra il goliardico, lo scanzonato e l’intellettuale. Forse un altro Gaber è proprio necessario.