DADÀ E SURREALTÀ

Il Dadaismo si sviluppò a Zurigo, in Svizzera, a partire dal 1916, su iniziativa di un gruppo di intellettuali provenienti dall’Europa, che, disgustati dagli avvenimenti sociali e politici di quel tempo, avevano deciso di “rifugiarsi” per sfuggire alla guerra. Questo movimento ha interessato svariati campi, in primis l’arte, la letteratura ed il teatro e si diffuse ben presto anche a Parigi ed in Germania; si poneva come antibellico attraverso il rifiuto delle convezioni artistiche del tempo (da qui anche il nome “dada” che non ha un vero e proprio significato). Questa corrente è riuscita a stravolgere tutte le consuetudini dell’epoca in diversi ambiti (da quello cinematografico a quello politico) ed ha sempre sottolineato e messo in evidenza la stravaganza, l’ironia, l’umorismo, l’anarchia e l’irrazionalità, poiché in grande contrasto con i valori culturali, politici e morali della borghesia. Tra i maggiori esponenti generalmente si ricordano Salvador Dalì, Rrose Selavy, Tristan Tzara, Max Ernst e Man Ray, i quali consideravano il movimento a cui appartenevano non arte, bensì anti-arte.

Erano irrispettosi, antitetici, particolari e grandi innovatori. Puntavano alla creatività e alla libertà, che ricercavano con ogni mezzo, come evidenziano gli stessi artisti quando affermano: « un fenomeno che scoppia nella metà della crisi morale ed economica del dopoguerra, un salvatore, un mostro che avrebbe sparso spazzatura sul suo cammino. Un sistematico lavoro di distruzione e demoralizzazione… che alla fine non è diventato che un atto sacrilego. »

Strettamente connesso a questa corrente è il Surrealismo, il quale, come corrente artistica, nacque nel 1924, poco dopo il Dadaismo, che contribuì in modo determinante al suo sviluppo. Questo movimento si pose come progetto di liberazione in ambito politico e sociale, che cercava di rinnovare il rapporto fra mondo ed individuo; tutto ciò per mezzo della teoria freudiana sull’inconscio. I principali esponenti furono Louis Aragon, Paul Eluard, Philippe Soupault e Breton, colonna portante del gruppo, che, nello stesso anno, stese il Manifesto del Surrealismo, nel quale esponeva in modo organico la tesi del movimento, i princìpi del suo pensiero filosofico e la sua condanna del realismo.

La rivoluzione surrealista è ben rappresentata da quelli che sono infatti i punti fondamentali del documento, che valorizza la purezza degli “automatismi psichici”, la registrazione di stati onirici o ipnotici, la necessità di liberare il pensiero dal controllo della ragione, dalle preoccupazioni e le sovrastrutture di natura estetica o morale ed è forse anche proprio per questo che non è semplice tracciare in modo netto le linee del pensiero filosofico surrealista, se non limitatamente allo stretto legame fra questo e le teorie psicoanalitiche di Freud: la valorizzazione del sonno e del sogno, che diventa realtà. Di qui l’attenzione al subconscio, quale dimensione fondamentale del pensiero, e l’affermazione di una realtà assoluta chiamata surrealtà, superiore, che elimina gli ordinari meccanismi psichici e si sostituisce ad essi nella risoluzioni delle complicazioni.

L’atteggiamento dei surrealisti verso la vita e la loro dimensione dell’arte traevano dunque ispirazione dalle scoperte moderne dell’empito bio-psicologico. Un altro termine nel quale si rispecchia il pensiero surrealista è l’automatismo, come flusso di parole e di immagini non guidate dalla ragione che si pongono il compito di esprimere il funzionamento del pensiero. Come affermavo in precedenza, leggendo i testi surrealisti è comunque difficile riuscire ad individuare una dottrina precisa, ma oltre al legame e all’influenza delle analisi psicoanalitiche di Freud sul sogno, un altro punto indiscutibile del loro pensiero è rappresentato dalla ricerca di una incondizionata libertà, della quale possono e devono godere l’anima e lo spirito. Dobbiamo tener conto che questo movimento nacque all’indomani della prima guerra mondiale, che aveva messo in discussione questa libertà, ed è quindi naturale che parte della riflessione degli artisti fosse centrata su quest’ultima, che criticavano profondamente.  Breton la descriveva appunto come “un’immonda e disumana cloaca di sangue, di imbecillità e di fango”, ma, più che soffermarsi sulla guerra in sé, ciò su cui riflettevano i surrealisti era principalmente sapere come l’attività spirituale potesse non essere contagiata e corrotta dalla tragedia bellica e da altri simili eventi.

Dadaismo e surrealismo furono entrambi correnti all’avanguardia, padri di una rivoluzione culturale che suggeriva una nuova filosofia di vita: non fondata sulla sperimentazione esclusivamente formale, bensì sulla scoperta di una nuova dimensione e realtà nella quale l’individuo è totalmente libero da qualsiasi schema imposto dalla ragione e dalla razionalità. Questi due movimenti hanno dunque rappresentato un momento di rottura con la tradizione accademica del tempo con una proiezione al futuro centrata sulla libertà e rovesciamento dei valori tradizionali, spinti da un gesto rivoluzionario.

Giasmina D’Angelo

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