Se vi dicessero che avete la possibilità di partecipare come tirocinanti ad un festival della filosofia, quale sarebbe il vostro primo pensiero?
Il mio è stato: “Bello. Ma che cos’è? Che dovrei farci io?”.
La verità è che vengo attratta da qualunque cosa contenga la parola “filosofia”, ma non avevo nessuna idea di cosa stessi facendo quando ho contattato l’organizzatore, Guido G. Gattai, per offrirmi come partecipante. Non sapevo nemmeno quali fossero i requisiti necessari a dare una mano nell’organizzazione di una cosa del genere. Ad oggi, direi che la condizione fondamentale è essere “pronti”. Per far sì che il festival riesca al meglio, bisogna essere pronti a far fronte a qualunque inconveniente, essere pronti a ricoprire qualsiasi ruolo, essere pronti a partorire idee che possano concretamente fruttare qualcosa. Non importa sentirsi pronti, importa esserlo quando serve.
Va detto che le persone che organizzano da anni il festival sanno perfettamente cosa fare, ma questo non vuol dire che tu venga guidato “per manina” passo dopo passo: la tua importanza principale sta nel tuo autonomo contributo.
Così, mentre sei ancora un po’ confuso riguardo al risultato concreto di tutto questo fermento intellettuale e pratico, le aspettative per i “catartici” giorni del festival salgono e si accumula quell’adrenalina tipica del momento prima di andare in scena.
Hai ripetuto talmente tanto, nella tua testa e alle persone, le date in cui tutto si svolgerà che quando il giorno arriva è quasi una sorpresa la realizzazione effettiva del festival, e riesci a sentirti contemporaneamente “pronto alla performance” come un atleta e goffamente impreparato come un ragazzino.
Il festival è una creatura strana, non riesci a darne una definizione finché non ti ci trovi nel mezzo, finché non ne sei parte.
Si arriva così al primo giorno, ma lo stordimento passa davvero solo quando le persone si accomodano e il primo oratore inizia a parlare. Quello è il momento in cui tutto prende vita e diventa reale, in modo così naturale da farti dimenticare per un attimo tutto il lavoro che c’è dietro e farti domandare se il festival non sia una creatura pensante e autonoma.
Inizia a parlare il professor Spinelli, racconta ai ragazzi delle scuole i primi passi della filosofia, le prime interrogazioni filosofiche occidentali, e la sensazione è che questo tema non venga solo spiegato, ma, in un certo senso, rappresentato. La filosofia “nasce” un po’ anche in quel momento, con quelle giovani menti che ascoltano un oratore appassionato parlare di tematiche che nessuno dovrebbe correre il rischio di trascurare. Sarebbe proprio un peccato.
L’organicità dell’insieme si rafforza con l’intervento del secondo oratore: il giovane dottor Beconi, anch’egli impegnato ad approfondire i concetti della filosofia greca. Il quadro è completo: ci sono i ragazzi, che hanno appena iniziato ad avvicinarsi a questi temi, il giovane oratore, che dà prova della sua dedizione in una delle sue prime conferenze, e il professore affermato, il cui percorso filosofico va avanti da anni ma è ancora in continuo sviluppo. L’intero mondo della filosofia e di chi la ama si dispiega davanti agli occhi di chi assiste al festival, in un modo inspiegabile eppure evidente.
Passato il primo giorno, ne vuoi ancora. La confusione è in buona parte passata, ma, essendoti reso conto di cosa sia il festival e delle sue potenzialità, le aspettative e l’entusiasmo sono triplicati.
La seconda data è dedicata alla filosofia medievale e i nomi che compaiono sono maestosi: starà al professor Garfagnini e al professor Moravia presentare agli studenti un argomento così vasto e poco conosciuto. La risposta del pubblico è ottima, cosa che ti restituisce fiducia nel mondo, perché se c’è ancora chi riesce ad appassionare ragazzi giovani a tematiche così controverse non si può che ben sperare. Quello che colpisce più di ogni altra cosa, però, è vedere quanto questi blasonati oratori tengano alla loro materia e alla trasmissione di essa, l’entusiasmo con cui spiegano e anche quel pizzico di “ansia da prestazione”. Nell’aria si respira una passione che è davvero difficile incontrare nella vita di tutti i giorni. Gli applausi che scrosciano sono più che meritati.
Il terzo giorno tocca al professor Lombardi Vallauri e al professor Cerutti affrontare tematiche attuali, sia etiche che sociali. Queste grandi personalità sono riuscite, in qualche modo, a far “toccare con mano” la filosofia agli studenti. L’hanno attualizzata e inserita nella vita quotidiana di ognuno, valorizzandola e portandola alla luce. Nel 2015 spesso pensiamo che avvicinare le persone a queste tematiche sia un’impresa improba, eppure in quella mattinata questo è stato fatto con una naturalezza, una maestria e una passione tali da far sentire tutti, nel proprio piccolo, un po’ filosofi.
Sono convinta che i ragazzi presenti difficilmente scorderanno l’impatto di un’esperienza del genere.
L’ultimo giorno ci si sente già un po’ nostalgici, ma non c’è tempo per fare i sentimentali: la mattinata è dedicata al tema della Grande Guerra e sul palco prenderanno la parola il dottor Innocenti, giovane laureato esperto di un autore immeritatamente poco noto quale è Carlo Michelstaedter, e il professor Maggi, capace di mostrare a tutti quanto poco in realtà conosciamo nomi famosissimi come quelli di Croce e D’Annunzio.
Il festival ci saluta così, in modo incoraggiante, affiancando ancora una volta un giovane promettente ad un esperto professore, per ricordarci che la filosofia non accenna ad esaurire il suo continuo flusso di pensieri, passando un testimone invisibile eppure carico di importanza.
Non so se sono riuscita a rendere l’idea di cosa sia il Filosofestival, non sono neppure sicura di averlo compreso fino in fondo neppure io, però posso dire che è sicuramente molto appagante esserne stata parte.
L’ha ribloggato su FilosoFestival.
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