Si sa: nei compleanni il festeggiato è una vittima.
E i festeggianti sono i carnefici. Non crudeli, però. O almeno non manifestamente crudeli: sottilmente e nascostamente crudeli. In parte, all’insaputa di loro stessi.
Sono lì assiepati, con facce d’angelo, a ricordarti quello che, magari, preferiresti dimenticare: il peso crescente degli anni, la difficoltà e l’imbarazzo di dare un significato a questo giorno – proprio a questo giorno – e, soprattutto se sei in tarda età, il senso di qualcosa che inesorabilmente si è consumato.
Il passato non è più rimediabile e il futuro, incerto come sempre, si sta abbreviando. Un giorno di compleanno è un altro passo verso la conclusione, più o meno come tutti i giorni precedenti. Però, ora, viene messo in evidenza. Ti viene conficcato nelle carni come un chiodo.
Nessuno lo dice esplicitamente, ma sei invitato a tirar le somme. Bilanci del genere (anche questo lo si sa) sono malsicuri e le operazioni per stenderne uno sono solitamente dolorose. Ma tutti si attendono da te che tu sorrida e confermi che il saldo è positivo e che, inspiegabilmente e imprevedibilmente, c’è un tesoretto da distribuire a chi lo merita. Vuoi forse rovinare la festa?
Nessuno ti chiede, certo, il dettaglio delle vicende che portano a questo risultato. Scopri – con qualche punta di smarrimento – che questa narrazione sarebbe, alla fin fine, noiosa e, quel che è peggio, anonima. Sei quindi obbligato a mostrarti gratuitamente di ottimo umore. Se possibile, sii gaio, spensierato, felice di avere attorno a te una folla di parenti, amici, conoscenti, i quali non sanno – letteralmente non sanno – come esprimerti il loro giubilo e come gratificarti.
La parola auguri (tanti, tanti, tanti) è più che logora, ma come evitarla senza apparire inutilmente bizzarro? Ti va ancora bene se non si mettono a cantare, tutti insieme, a good birthday to you. Cento di questi giorni! Vecchio mio! E altre consimili amenità. Buffetti, baci, abbracci, pacche sulle spalle. I baci si danno sulle guance, forse un po’ cascanti, qualcuna flaccida, altre, invece, grinzose. Si comincia dalla destra o dalla sinistra? Un compenso in quelle paffutelle e tenere dei bambini (per un istante smettono di rincorrersi strillando come forsennati, il loro modo di appropriarsi del tuo compleanno).
Segue il pranzo. Terribile: ma è una prova alla quale non puoi sottrarti. Una tavolata che non finisce più. Commensali a perdita d’occhio. Sei o non sei il patriarca? Trimalcione, Lucullo, Pantagruel. In mezzo alle portate, innumerevoli e spropositate e nelle quali si è concentrata la sapienza culinaria e l’amore parentale di tutte le tue donne, una miriade di bottiglie di spumante dalle più varie etichette (una l’ha portata lo zio Gustavo, l’altra la cugina Eusapia, l’altra ancora l’amico Massimiliano, ecc.). Che importa se tu hai uno stomaco piccolo e malaticcio che si riempie dopo la prima cucchiaiata di tortellini in brodo? Per oggi devi fare un’eccezione. Tutti, in coro, ti danno licenza di ucciderti – quale occasione migliore di questa? – e tutti applaudono a ogni boccone che ingurgiti e a ogni bicchiere di vino che tracanni.
Poi, la torta con le candeline. Avevi sperato fino all’ultimo che quella ti fosse risparmiata, ma non c’è niente da fare. Hai il dovere categorico di spengere le candeline. Con un soffio solo – si capisce – impetuoso e potente. Quante candeline? Una fiammella più grande delle altre vale dieci anni; così non si supera mai il numero totale di dieci, a meno che tu non arrivi a 101 anni d’età, e oltre. Naturalmente, qualcuna, bizzosa, rifiuta di spengersi. Per fortuna c’è sempre un nipotino di rincalzo che sta lì vicino e, senza parere, con quelle gote rosee che lo agguagliano a un Eolo in miniatura, ti dà un aiuto. Applausi: l’impresa è compiuta e si può mangiare la torta.
Si aprono i pacchi, i pacchetti, i pacchettini dei regali. Dietro ogni regalo c’è un lungo e travagliato processo. Molti animi sono stati macerati dall’incertezza della deliberazione. Si sono tenuti perfino dei consigli di famiglia: questo no… questo, andrebbe… però… Momenti di disperazione che resteranno celati. Ora la consegna. Anche qui, implacabile, la traditrice frase fatta che avvelena il gesto. Come evitarla? Scuserai… quel che conta è il pensiero… è una piccola cosa, ma dentro c’è tanto affetto… – Grazie! grazie!… non dovevi… hai indovinato i miei desideri… Ci sono le bottiglie di spumante di cui sopra – una moltitudine -, ci sono i libri (due o tre copie della stesso romanzo di attualità), gli oggetti di fantasia… Tiri un respiro di sollievo: niente soprammobili, la Tour Eiffel, il nano Brontolo di gesso per il giardino, il barometro con la nevicata bianca che cade giù al momento opportuno…
Intanto si succedono le telefonate di coloro che – vilmente o astutamente, a seconda dei casi – hanno scelto la libertà: perdonami… sai, la nonna (eh! la nonna) che non può essere lasciata sola… Ambrogio stanotte ha avuto le convulsioni, povero piccino… ho il mal di denti, l’emicrania, il giradito, la pipita e nemmeno il gatto sta tanto bene… ma ti sono vicino con il cuore, con tutto il cuore… cento di questi giorni (anche: mille di questi giorni, un po’ di enfasi, nell’euforia generale, non guasta) …
Quest’ultima è una vera e propria minaccia, ma come reagirvi? Sei o non sei la vittima sacrificale del rito?
I telegrammi. Si leggono ad alta voce affinché nessuno sia deprivato della testimonianza di quanto (e da quanti) tu sia amato e di quanto ancora sia indispensabile il tuo contributo alla vita associata. Qualcuno è perfino spiritoso.
Le fotografie. Una pioggia ininterrotta. A ogni scatto obbligo di sorridere spontaneamente (oh! Watzlawick come hai colto nel segno!). Attenzione: badare bene che il sorriso non si trasformi in una smorfia e la smorfia in un sogghigno. In poltrona, da solo, con le mani distese sui braccioli e le pantofole di lana ai piedi. Mentre ti sbaciucchiano, ti abbracciano, ti lisciano, ti fanno le corna da dietro (tutta qui la capacità di essere sbarazzino?), mentre tagli la torta sulla quale campeggia – fatto tutto di bianca panna dolcissima – il numero dei tuoi anni (poniamo 80), mentre fai i versacci, mostri la lingua come Einstein, fai marameo, saltelli su una gamba sola …: devi essere felice.
Infine la congrega si scioglie: la prova a cui sei stato sottoposto è terminata: sei stato promosso e sei sopravvissuto, anche se la giornata è stata così ardua da accorciarti la vita.