Guy Ernest Debord è nato alle cinque di pomeriggio del 28 dicembre 1931 a Parigi, al confine orientale della città in un quartiere popolare dal carattere campestre, con case monofamiliari circondate da orti e giardini, dove convivevano operai e ceto medio. È stato scrittore, redattore, regista e filosofo anche se non si è mai definito tale, muore nel 1994 sparandosi un colpo di fucile al cuore poiché ormai costretto ad una vita misera a causa della polinevrite alcolica. Debord è conosciuto per la sua opera capitale: la “Società dello spettacolo” pubblicata nel 1967, un anno prima degli scioperi operai e studenteschi del maggio francese, che insieme al “Trattato sul saper vivere ad uso delle giovani generazioni” di Roul Vaneigem è la base teorica dell’attività svolta dall’Internazionale Situazionista L’Internazionale Situazionista è l’avanguardia fondata da Guy Debord nel luglio del 1957 a Cosio d’Arroscia in provincia d’Imperia, si scioglierà nel 1972 ed è stata definita da Mario Perniola, uno dei suoi più grandi studiosi, come l’ultima avanguardia del ventesimo secolo. Debord riuscì a riunire attorno a sé persone che guardavano nella stessa direzione, accomunate dalla stessa sensibilità verso i grandi cambiamenti della seconda metà del novecento a cui daremo un breve sguardo. I situazionisti volevano essere un’avanguardia
diffusa a livello internazionale, ma avranno come sede principiale la Francia. Teniamo conto che tra il 1953 e il 1958 proprio in Francia si ha un boom della produzione industriale che cresce del 57%, tanto da influenzare lo stile di vita quotidiano dei cittadini, che venne ribattezzato per la sua nuova routine come “métro-boulot-dodo” (metro-lavoro-nanna). Nello stesso periodo viene trasmesso il primo programma televisivo in diretta, qualche anno dopo viene messa sul mercato la prima lavatrice, inoltre nasceva il primo progetto delle case popolari (grands ensembles di Sarcelles) e l’urbanistica iniziava a concentrarsi soprattutto sulla costruzione di parcheggi, di grandi centri commerciali e la circolazione dei mezzi di trasporto. I rinnovamenti a livello architettonico e progettuale delle città furono uno dei principali bersagli polemici del situazionismo. Nel 1938 fu pubblicata la Carta d’Atene da parte del IV Congresso Internazionale di architettura moderna di cui il principale promotore fu Le Corbusier, uno degli architetti più influenti dell’epoca. Per inquadrare l’avanguardia situazionista è utile porre l’accento su questo documento, che ci fa comprendere come il loro progetto si opponga criticamente a questa concezione. La Carta d’Atene era la teoria generale per la pianificazione della città, suddivisa in 95 punti in cui la complessità della vita umana viene ridotta a quattro categorie antropologico-urbanistiche fondamentali quali lavoro, consumo, tempo libero e circolazione. Si può dire che in quel periodo i cambiamenti erano tanti e accelerati, quindi capire la direzione che la società stava prendendo da una posizione così ravvicinata, non era semplice, ma i situazionisti e in particolare Debord riuscirono a cogliere lo spirito del loro tempo, a comprendere le tendenze dominanti della loro epoca e a resistervi. Ho parlato della Carta d’Atene perché esemplifica la posizione funzionalista che riduce la complessità della vita umana ad una funzione. Il funzionalismo in quest’ottica è un modo di giudicare che ha come parametro l’utilità, quindi per chi pianificava le città era importante minimizzare gli spostamenti tra la casa e il luogo di lavoro. Spazio e tempo hanno valore se vengono utilizzati secondo utilità. Il funzionalismo dominante tra gli architetti ci permette di parlare dell’opposizione critica dei situazionisti alla ragione dominante dei loro tempi, infatti essi ritengono che questo sia una riduzione di
complessità della vita inammissibile, e si prendono l’impegno di diffondere il pensiero critico tramite la loro omonima rivista: l’Internazionale Situazionista. Questa doveva stimolare una presa di coscienza della realtà e spingere il singolo individuo a svolgere una propria ricerca sulle categorie sopramenzionate di lavoro, consumo, tempo libero e circolazione per formulare un giudizio di ragionamento e prendere coscienza delle proprie condizioni di vita. I situazionisti confidavano che il lettore, spronato dai loro articoli potesse, riuscire a prendersi la responsabilità soggettiva di vedere oltre i meccanismi della ragione dominante. Le argomentazioni dei situazionisti presenti nei 12 numeri dell’omonima rivista sono impregnate di un linguaggio che fa ampio uso delle categorie di lotta di classe, di rivoluzione, di proletariato, ma che ad alcuni possono suonare in un certo senso antiquate e per parafrasare Anselm Jappe autore di una monografia sul fondatore del’ I.S, questioni come la discussione sul ruolo dell’organizzazione rivoluzionaria oggi possono
ricordare i dibattiti bizantini sulla natura divina o umana del Cristo. Ciò non toglie che tali dibattiti possano suscitare interesse tutt’oggi, ma preferisco dare importanza ai tratti dell’I.S che mi sembrano più attuali. Per fare una ricostruzione cronologica, che sia sensatamente compiuta, si dovrebbe partire dal mondo delle avanguardie, cominciare dal Futurismo di Marinetti, passando per il Dadaismo di Tzara e il Surrealismo di Breton fino ad arrivare al Lettrismo di Isou a cui prenderà parte il giovane Guy Debord. Il nostro protagonista appena uscito dalle scuole secondarie, per utilizzare le sue parole andò “anzitutto verso l’ambiente, molto attraente, dove un estremo nichilismo non voleva più saperne, né soprattutto continuare niente di ciò che era stato fino ad allora ammesso come uso delle vita e delle arti”. L’ambiente di cui parla all’interno della propria autobiografia è probabilmente quello del Lettrismo, avanguardia fondata dal poeta rumeno noto come Isidore Isou, che voleva portare avanti il progetto lasciato a metà dalle avanguardie del primo novecento, ovvero destrutturare le forme artistiche che esprimevano la cultura borghese e non a caso ridusse la musica, la poesia e la pittura a quello che ritiene essere il loro elemento ultimo: la lettera. Da questo movimento di avanguardia Debord trarrà buona parte delle proprie idee, e gli rimarrà per sempre cara la convinzione che il mondo intero sia prima da smontare e poi da ricostruire, non più all’insegna dell’economia e dell’utilità ma della creatività generalizzata. Il giovane lettrista è esaltato dall’idea di poter cambiare il mondo creando una nuova civiltà che si basi non più su un uso utilitario e funzionalista del tempo e dello spazio, bensì sulla possibilità di un utilizzo creativo e ludico di queste due componenti, in particolare, come vedremo da ultimo, focalizzandosi sull’interazione perpetua tra ambiente materiale della vita e il comportamento a cui quest’ultimo dà origine. Questo primo periodo vede Debord cimentarsi nella sua prima opera cinematografica “Urla in favore di Sade” di cui si può cogliere subito l’intento avanguardista, o comunque sia, la ricerca di un effetto volto a far reagire lo spettatore anche in modo negativo, dato che questi si trova davanti un film senza immagini (non-film), in cui si alternano lunghi momenti di silenzio su schermo nero, a dialoghi su schermo bianco tra cinque voci che recitano citazioni tratte dai più svariati contesti. L’elemento dello scandalo era molto caro alle avanguardie sopracitate, che in una prospettiva più ampia si spiega come il tentativo di scardinare la divisione tra artista-opera-spettatore, tralasciando la caratteristica dello scandalo, ci basti pensare ai tentativi degli stessi lettristi di Isou, che in alcune delle loro mostre lasciavano la tela bianca o appena iniziata, invitando lo spettatore a completare a sua volta l’opera, diventando parte stessa del processo creativo. I lettristi, come i dadaisti prima di loro, cercavano di spronare lo spettatore a lasciare la sua posizione di passività affinché divenisse attivo. Alla base di questo atteggiamento c’è la convinzione che la casualità sia un valore, ovvero che la contingenza sia un limite-risorsa, un elemento imprescindibile del processo creativo. Il nostro protagonista vuole portare il programma lettrista ad immediata realizzazione materiale, assieme ad alcuni compagni d’avventura, fonda all’interno del Lettrismo stesso una fazione atta a promuovere nell’immediato il ribaltamento della società: l’Internazionale Lettrista. Questi ultimi si separano da Isou e dai lettristi accusandoli di essere dei conservatori, in quanto non riescono a superare il terreno meramente artistico, mentre quel che Guy propone è la sperimentazione di uno stile di vita “critico”, tale da essere irriducibile ad ogni possibile recupero dal mondo dello spettacolo, che stava prendendo piede. Fin dagli inizi, Debord rifiuta l’arte in nome di una sfida integralmente etica e dunque politica. Le intenzioni che animano il nostro giovane amico sono le stesse che lo porteranno a fondare il proprio gruppo, e sono le stesse che si ritrovano nelle avanguardie storiche riassumibile nella formula: “riportare l’arte all’interno della vita”. Si potrebbe notare che il tentativo di riunire arte e vita sembri una formula priva di significato, in quanto banalmente per fare arte bisogna vivere, ma guardandola con gli occhi di un situazionista, la vita è permeata da una miseria qualitativa che è impossibile negare (riduzione della complessità a funzione), e gli stessi desideri che l’individuo è convinto siano i suoi, in realtà sono indotti dall’esterno (logica della società dei consumi). Il tentativo di eliminare la separazione tra artista-opera-spettatore è posto nei termini del progetto di superamento dell’arte, riassumibile nella coppia arte/vita, che è ridescrivibile come il predecessore della volontà di riunire vissuto e rappresentazione. Per provare ad essere più chiaro, la separazione tra arte e vita tematizzata dalle avanguardie, si può intendere come l’antecedente storico della divisone tra momenti di vita
vissuta e rappresentazione di momenti di vita vissuta, laddove la vita è ridotta ad immagine, cioè nella società dello spettacolo. In questa prospettiva lo spettatore che contempla le opere d’arte diventa il primo obiettivo polemico, è l’esemplificazione di uno stile di vita alienato. Costui, facendo un salto acrobatico, in realtà è già lo spettatore passivo dello spettacolo di cui Debord parla tramite la sua analisi filosofica del presente, è colui che non è capace di giudizio critico, è l’altra faccia del lavoro alienato della filosofia di Karl Marx. Tornando alla nostra storia, i nuovi lettristi hanno come luogo di ritrovo e di “ricerca” il caffè Chez Moineau, al numero 22 di rue du Four nel cuore del quartiere di Saint-Germain-des-Prés. Il piccolo bistrot e il quartiere in cui era situato vengono descritti in modo poetico, dallo stesso Debord in uno dei suoi ultimi lavori cinematografici, intitolato “In girum imus nocte e consumimur igni”, come il labirinto migliore per trattenere i viaggiatori, il luogo in cui “era stato scoperto il punto culminante del tempo”. Debord e compagnia, a partire da questo caffè, tra bevute ed incontri, elaboreranno le basi teoriche e pratiche del situazionismo, di quel che sarà lo stile di vita contrapposto al modello funzionalista-consumistico, ovvero contro una vita legata ad una routine inalterabile, che porta al proliferare della ragione strumentale (la ragione strumentale è quella di una coscienza che si adegua all’esistente) e all’estinzione del giudizio critico. È proprio a Chez Moineau che nascono gli interessi verso gli strani campi di ricerca situazionisti, conosciuti sotto il nome di deriva, psicogeografia, urbanismo unitario, e la stessa costruzione di situazioni. Saltando gli svariati passaggi ed incontri che porteranno alla fondazione dell’Internazionale Situazionista vi parlerò direttamente di cosa differenzia i situazionisti dai vecchi lettristi, a cui si è accennato parlando del punto culminante del tempo, ossia l’attenzione dedicata al flusso spazio-temporale dell’esperienza vissuta. Essi si erano da tempo messi alla ricerca del punto in cui l’io del singolo potesse sperimentare il proprio emergere nella relazione con l’ambiente collettivamente vissuto, e credevano che tale movimento di immersione-emersione permettesse una fuoriuscita dall’alienazione dello Spettacolo. Non è questa la sede in cui provare a spiegare concetti impegnativi come quello di alienazione e di spettacolo, ma ci basta comprendere che l’economia-industriale nella forma del capitalismo, o del consumismo nascente, o il così detto progresso moderno, porta i situazionisti a domandarsi se questo vada nella direzione della realizzazione dell’individuo e dei suoi desideri più intimi, oppure vada a soddisfare dei bisogni che in realtà sono scollegati dai desideri e dalle passioni, e che nella logica spettacolare porta alla falsificazione degli stessi. In altre parole, banalizzando un po’ il discorso, le ottiche cinematografiche e le pose fasulle omologano il comportamento degli individui e saturano l’orizzonte del possibile, implicando l’idea che non si possa dare un mondo diverso da quello presente. Riassumendo, Debord aveva lanciato uno sguardo verso gli anni 2000 e oltre, vedendo come la separazione causata dallo sviluppo moderno tra vissuto e rappresentazione, anticipato dalla coppia arte-vita trattata in maniera problematica dalle avanguardie, potesse portare ad una spettacolarizzazione-anestesia della coscienza e dell’immaginazione. Per concludere, volevo ritornare sul flusso spazio-temporale o punto culminante del tempo, per spiegare da dove provenga il nome situazionismo e quindi accennare al concetto di situazione, che s’identifica con l’utilizzo altro del tempo tanto ricercato da Debord. La riflessione del tutto attuale a cui i situazionisti danno respiro, consiste nel chiedersi se il tempo libero prodotto dalla modernizzazione porti alla creazione di nuove alienazioni, oppure se i nuovi mezzi tecnici possano contribuire alla libertà e alla creatività. La risposta verte sulla prima possibilità, quindi verso l’adeguamento all’esistente, l’atrofizzazione della ragione critica e l’eliminazione di ciò che può essere radicalmente altro. L’importanza data alla “fuga del tempo” dipende dalla ricerca di un’attività che non possa essere assoggettata al mondo dello spettacolo, e per passare ad un vocabolario di matrice più filosofico-marxista, si può dire che essi ricerchino un oggetto che non possa essere ridotto a merce e che non riproponga più l’opposizione netta tra spettatore e opera. La Situazione sarà il risultato di tale ricerca, essa è un momento di vita vissuta. La costruzione di situazioni si basa sulla risorsa-limite della contingenza, che sembra essere l’elemento capace di far oltrepassare tutte quelle separazioni che il progresso ha creato. I situazionisti prendono il proprio nome dalla pratica di organizzazione degli elementi dell’ambiente in modo tale che questi possano funzionare da innesco di un evento. Provano ad organizzare un laboratorio del vissuto per la creazione e valorizzazione di situazioni coscienti per combattere l’adeguazione all’esistente.
Nella sua biografia Debord ci parla della sua vita come un’avventura ad occhi aperti, ed è ciò che il situazionismo ci propone: fare in modo che le avventure accadono, piuttosto che subirle come avvenimenti.