Inversione satanica del consumismo

Molti sostengono ancora oggi che il consumismo sia figlio del capitalismo. Niente di più sbagliato, anzi, niente di più… vero in modo tanto parziale da essere falso. Il consumismo è figlio del capitalismo, sì, da cui prende l’amore per la produzione e la centralità del denaro, ma anche del comunismo, da cui mutua il disprezzo per l’individuo singolo e l’accentramento di ogni funzione nella mani di un mega-organo senza capi reali, e – soprattutto – questo figlio di genitori materialisti (capitalismo e comunismo) è un figlio degenere, che (ascoltando gli insegnamenti del “nonno”, la teocrazia) ha una spina dorsale potentemente astratta, teorica, per nulla materialista anzi il suo contrario: teologica, spirituale, teocratica. Nel ‘900, comunismo e nazionalismo negavano religione e spiritualità, da buoni figli dell’illuminismo materialista, mentre il capitalismo rivendicava con le religioni un rapporto di buon vicinato: finché le religioni tenevano i popoli buoni e compostamente inseriti nell’ordine capitalistica, il capitalismo non le discuteva, le ignorava con sorniona complicità e – talvolta – vi si alleava addirittura. Il consumismo no, al pari delle teocrazie antiche e recenti, si propone SIA come sistema sociale CHE come religione. La spiritualità esiste ed è importante, il trascendente c’è e non lo si nega, ma allo stesso tempo non lo si appalta, non lo si demanda alle chiese, che devono essere spazzate via. Ma non le spazza via come provavano a fare i sistemi figli dell’illuminismo, l’obiettivo non è gettarle dalla finestra, ma farle rimanere tutte in piedi soltanto nelle loro forme, mentre nella sostanza, nella vita vera e profonda degli esseri umani, si instaura una religione unica e incontrovertibile, che solo un pazzo potrebbe mettere in dubbio o rifiutare, quella del mercato. Metterla in dubbio comporta esclusione, fame, morte. Da questo punto di vista il consumismo è figlio diretto dell’epoca medievale, in cui nessuno poteva impunemente mettere in dubbio la Fede Unica, o delle teocrazie egiziane, o di quelle di stampo islamico.
Per dimostrare questo farò qui vedere una cosa di cui mi sono accorto con l’amico Matteo Abriani: un sistema teocratico parte da una teologia e la teologia consumista pare essere proprio l’inversione del cristianesimo, anzi, delle religioni “del libro” in genere, visto che i suoi dieci comandamenti di fondo sono l’esatto ribaltamento dei comandamenti mosaici, per filo e per segno. È questa la sua dose “satanica” di base, satanica nel senso etimologico del termine (Al-Shaitan = il nemico): il ribaltamento accurato della morale, il supporto, sostegno ed elogio di ciò che fa comprovatamente male al genere umano, che lo divide, lo mette l’un contro l’altro armato.
Vediamo come, prendendo la versione cattolica dei dieci comandamenti, versione molto simile alle altre traduzioni, ma visto che siamo in Italia prendiamo questa, per semplicità e prossimità. Se il lettore preferisce potrà usare un’altra traduzione e vedrà che la sostanza non varia, il paragone regge inamovibilmente.

1) Non avrai altro Dio fuori di me. → Abbi molti dei usa e getta

Il consumismo vuole, anzi impone, che tu abbia un numero infinito e continuamente in evoluzione di divinità: supereroi, divi del cinema e della musica, atomizzati via via in pezzi sempre più piccoli fino a diventare rapper famosi per dieci minuti, comici famosi per una sola battuta e così via. Certo, alla fine il Vero Dio è Uno anche in questo caso (il denaro, il mercato se vogliamo) ma lo si venera in uno specchio rotto ne rimanda una miriade di immagini distorte, non lo si guarda mai in faccia per davvero. Sopratutto perché, un dio del genere, nessuno lo potrebbe mai venerare se lo vedesse bene in faccia.

2) Non nominare il nome di Dio invano. → Nominali continuamente e inutilmente

I molteplici dei del consumismo vengono continuamente nominati, a ogni pié sospinto, diventano più nomi aggettivi, interiezioni, esclamazioni perfino. E li si nomina sempre ed assolutamente a sproposito, poiché di loro non si sa altro che la finta maschera che il dio mercato gli ha cucito in faccia. Della loro vita emotiva, se se ne sa qualcosa, è per farne spettacolo di modo da renderla grottesca, falsa, parodia di una vera vita emotiva, spirituale o intellettuale.

3) Ricordati di santificare le feste. → Ricordati di profanare le feste.

Incredibile ma vero, se cci si riflette un attimo lo si vede subito, il consumismo non ha feste. Le feste servono per svolgere altri generi di impieghi, tutti assolutamente interni al sistema, come consumare alcoolici, tabacco, cibo nei ristoranti, ma soprattutto fare uso di servizi: stare chiusi nei social network, o – se va bene – uscire in discoteca, nei centri commerciali. Il fedele va in chiesa, il consumista non se lo può permettere: ha dei beni da consumare, servizi di cui usufruire, e spesso lavora anche nelle feste comandate perché la sua fabbrica o il suo negozio non possono certo chiudere. Feste come il black friday, il cyber monday, inventate dal consumismo, oppure le vecchie feste religiose, ormai convertite in feste completamente consumistiche, non sono più occasione di “santificazione” ma giorni in cui si lavora ancora di più, si consuma ancora di più, si opera di più degli altri giorni, invece che di meno.

4) Onora il padre e la madre. → Ricorda di disprezzare il padre e la madre.

Niente come la narrazione, come la mitologia consumistica ci ha insegnato a disprezzare padre e madre. Sul piano narrativo, non c’è un film o una serie TV in cui i figli vogliano seguire le orme dei genitori: tutti vogliono sempre rinnegare la vita dei genitori e trovare altre strade. Il ribellismo adolescenziale, che in parte è sana strutturazione dell’identità, viene innalzato e venerato come obiettivo di vita. Quando, in realtà, di solito, se i rapporti sono sani, i figli sono ben contenti di fare quello che gli hanno insegnato i genitori e riproporre, laddove possibile, un modello che ha già dimostrato di portare fortuna alla famiglia. Quindi: ai figli felici si dice di cambiare strada rispetto ai genitori “a tutti i costi”, e – si sa – di solito che fine fa chi lascia la via comprovata e funzionate per quella misteriosa e piena di rischi. Poi c’è la vera e propria macchina della distruzione strutturale delle famiglie, per prevenire alla radice che nascano figli felici in famiglie felici: prima il consumismo trasforma i genitori in bambini viziati che contendono i giocattoli ai figli e fanno più bizze di loro, poi rende facili i divorzi. D’altra parte, come dice Bauman, i bambini nel consumismo sono il prodotto meno desiderabile in assoluto: non sai come lo avrai, non sai quanto costerà, in ogni caso costerà molto, non puoi cambiarlo, riportarlo in negozio né modificarlo a tuo piacimento. I bambini, trattati come prodotti, odiano i genitori che non si prendono cura di loro, non gli danno né affetto, né tempo, né valori… e che gli hanno fatto il pessimo scherzo di gettarli in questo mondo. Se e quando questo dispositivo funziona (e cioè spesso e sempre più spesso), i figli disonorano i genitori senza nemmeno bisogno di guardare la TV: perché il consumismo ha tolto ogni onore ai genitori e dei genitori senza onore non possono essere onorati.

5) Non uccidere. → Uccidi più che puoi.

Beh, no, nel consumismo non posso uccidere persone per strada a caso. Però… però… Il consumismo uccide in quasi ogni sua forma: nei piatti non c’è mai stata tanta carne in nessun altro sistema sociale, nei paesi poveri mai c’erano stati tanti morti per fame, in quelli ricchi mai così tanti suicidi, nel ciclo produttivo di ogni oggetto o servizio di cui usufruiamo mai c’era stata così tanta morte. In nessun altro sistema sociale il singolo essere umano era concausa di un numero tanto alto di morti. Nessuno, mai.

6) Non commettere atti impuri. → Commetti più atti impuri che puoi.

Questo è palese, ovvio, la pornografia dilaga, i film e i telefilm, i videogiochi, i fumetti, la musica, tutto ci suggerisce, ci invoglia e poi ci insegna nei dettagli come compiere atti impuri nella maggior quantità e della maggior gravità possibile. Qui non mi dilungo perché quello che accade a questo riguardo è talmente smaccato e sotto gli occhi di tutti che non so che dire per non essere banale o ripetitivo, ovvero ripetere quello che sicuramente il lettore ha già pensato senza alcun bisogno di leggerlo qui.

7) Non rubare. → Ruba più che puoi.

Come per l’uccisione, il consumismo non comporta l’effrazione della proprietà privata. Ma… ma… Nessun sistema nella storia ha mai depredato così tanto, neppure tutto il colonialismo del passato messo insieme può battere la quantità di furto di materie prime e mano d’opera di cui ognuno è corresponsabile oggi nell’era del consumismo. Siamo i più grandi ladri della storia e, quel che è peggio, chi vive nelle terre dove uccidiamo e rubiamo, se ne ha occasione e vantaggio, uccide e ruba a sua volta, e – se riesce a venire a vivere qui da noi – diventa il più convinto dei ladri e degli assassini, affrettandosi ad usare i prodotti e i servizi che devastano il suo popolo. Perché il consumismo non ha popoli, ma individui atomizzati, tutti contro tutti.

8) Non dire falsa testimonianza. → Menti sempre.

Beh, chi mai dice la verità nell’era del consumismo? Dire la verità è mal visto, è da stupidi, da sempliciotti. Così, nel caos generale, nessuno capisce niente. Compresi coloro che credono di “stare ai vertici”. Perché anche per loro il problema resta: se io la password per vedere quello che dicono tutti, ma tutti non fanno che mentire e basta, cosa so davvero in fondo? Niente. E, quel che è peggio, ormai siamo così tanto abituati a mentire, che non ci ricordiamo neppure più come si facesse a dire la verità, né, spesso, quale fosse la verità. Non sappiamo fare domande a noi stessi e risponderci schiettamente, non sappiamo cosa vogliamo raggiungere, come lo vogliamo raggiungere, non sappiamo niente e neppure chi siamo. Se un individuo che non sa dire la verità è un problema, immaginiamo – anzi osserviamo – i devastanti effetti di una società intera che non ci riesce più.

9) Non desiderare la donna d’altri. → Desidera ogni essere umano sessualmente.

Ormai è quasi un’offesa guardare qualcuno senza interesse erotico. Dall’età dello sviluppo in poi, tutto è sesso. Continuiamo a discriminare i gay, ma l’omosessualità è stata sdoganata: si può fare sesso con chi si vuole. Poi magari trovi qualcuno che non ti assume, ti licenzia, ti picchia. Ma la società è – almeno ufficialmente – con te. Tutto è sesso. Il finanziere Joeffrey Epstein ospitava nelle sue due isole caraibiche orge pedofile per i multimilardari. Quindi neppure più la pedofilia è un tabù. E perché mai dovrebbe? L’ultra libertarismo è sfociato nel libertinismo a 360°, al grido di “fai quel che vuoi basta che tu non faccia male a me”, solo che quel “basta che non faccia male a me” è una barriera protettiva molto sottile, direi inesistente. Ormai si parla di stuprare bambini, di abortire al nono mese incidendo la spina dorsale di bambini ormai già vivi, traumatizzare e vendere bambini come a Bibbiano, insomma, di fatto, a chi non ha abbastanza denaro per difendersi, si può fare quel che si vuole. Lo si può sfruttare, vendere, venderne gli organi, uccidere, figuriamoci se non ci si può far sesso. E quindi, chiaramente, anche oggetti e animali ben vengano, la perversione sessuale on ha più limiti, nel consumismo il sesso è definitivamente morto come veicolo di amore ed ufficialmente risorto come mera ginnastica di salute quando va bene, sfogo prevaricatore in un numero preoccupantemente alto di casi.

10) Non desiderare la roba d’altri. → Desidera ogni oggetto e servizio.

Nel consumismo, si sa, il buon consumatore è colui che consuma tutto. Male se questo o quello non ti piacciono o anche solo non ne hai voglia. Diventi subito “chiuso di mente”, “chiuso alle nuove esperienze”, “noioso”, “antico”, “retrogrado” e chi più ne ha più ne metta. Qualsiasi cosa deve essere desiderata e desiderabile. Altrimenti a che serve la pubblicità? La pubblicità ti insegna proprio questo: a desiderare tutto. Poi, chiaramente, quando desideri tutto, diventa difficile non desiderarlo, non invidiarlo, e – se se ne ha l’occasione – sottrarglielo. I ladri sono condannati dalla legge, nel consumismo, ma osannati e celebrati in ogni forma di arte, si sa.

Alla fin fine, forse, l’unico vero grande comandamento del cristianesimo è “ama”, e il vero grande comandamento del consumismo è l’opposto di “ama”. Che non è “odia”, ma “temi”. Si potrebbe riassumere la dottrina del consumismo in “si salvi chi può”. Peccato che, così facendo, affonda l’intera barca e nessuno può salvarsi. Così anche visi e virtù sono esattamente rovesciatiti.
Ecco le nuove virtù:

superbia (radicata convinzione della propria superiorità, reale o presunta, che si traduce in atteggiamento di altezzoso distacco o anche di ostentato disprezzo verso gli altri, e di disprezzo di norme, leggi, rispetto altrui);
avarizia (cupidigia, avidità, costante senso di insoddisfazione per ciò che si ha già e bisogno sfrenato di ottenere sempre di più);
lussuria (incontrollata sensualità, irrefrenabile desiderio del piacere sessuale fine a se stesso, concupiscenza, carnalità, eccessivo attaccamento ai beni terreni ed eccessiva renitenza nel separarsi da essi);
invidia (tristezza per il bene altrui percepito come male proprio);
gola (meglio conosciuta come ingordigia non è solo il mero abbandono ed esagerazione nei piaceri della tavola o la perdita totale del senso della misura e quindi della capacità di provare piacere reale per ciò che si sta gustando ma anche l’ingordigia nella sua accezione più pura. È descrivibile come l’insaziabilità su tutti i piani, quindi sia materiale che spirituale)
ira (alterazione dello stato emotivo che manifesta in modo violento un’avversione profonda e vendicativa verso qualcosa o qualcuno);
accidia (torpore malinconico, inerzia nel vivere e nel compiere opere di bene, pigrizia, indolenza, infingardaggine, svogliatezza, abulia).

Ed ecco, specularmente, le antiche virtù, ormai ridotte a gravi ed imperdonabili vizi:

– la temperanza, intesa come moderazione dei desideri che, se eccessivi, sfociano nella sregolatezza – e sappiamo che la sregolatezza è la prima virtù del buon consumista!
– il coraggio, o forza d’animo, necessaria per mettere in atto i comportamenti virtuosi – quante volte avete sentito dire “ma stai nel tuo… ma non t’impicciare… che chi ti credi di essere per fare questo o quello?”. Si deve essere supini, volitivi, isterici e rabbiosi, a volte, ma mai veramente coraggiosi.
– la saggezza o “prudenza”, la base di tutte le altre virtù, ormai considerata il più grave dei vizi – quante volte avete sentito usare “filosofo” come offesa o sfottò? Bisogna scegliere seguendo l’istinto, ma non quello naturale, quello nuovo e contraffatto prodotto dal condizionamento pubblicitario, bisogna fare azioni facili, che richiedano poco sforzo, di mente e di muscoli, e bisogna farle subito.
– la giustizia è quella che realizza l’accordo armonico e l’equilibrio di tutte le altre virtù presenti nell’uomo virtuoso e nello stato perfetto. Quindi se le altre sono pessimi vizi, anche questa la scacceremo per far posto all’opinione del popolo (indottrinato e incosciente, non un popolo sano e consapevole, sia mai!) e alla supina acquiescenza al potere del più forte, che diventa una rabbiosa e distruttiva guerra di tutti contro tutti senza vincitori, perché – si sa – il più forte cambia in continuazione.

Il punto centrale che volevo evidenziare con questo articolo si vede bene a questo punto. Nessun altro sistema sociale nella storia avrebbe potuto rispondere punto per punto ad una delle grandi religioni secolari. Né ci avrebbe provato. Questo dimostra, come sottolineato all’inizio, che il consumismo non solo non è un’evoluzione né del capitalismo né del comunismo ma è un figlio dei due e – per giunta – è anche un figlio ribelle che si è incamminato per la sua strada, sfuggendo ai diktat fondamentali di entrambi i suoi genitori. Il comunismo negava la religione. Il capitalismo ci conviveva sostenendo di “occuparsi d’altro”. Il consumismo si mette sul piano della religione e la sfida, la scalza, la sconfigge. O almeno ci prova. Perché chiaramente ci sono delle resistenze da parte dell’umanità: non tutti seguono i “nuovi comandamenti”, non tutti si allineano alla prospettiva offerta dai “nuovi vizi” e dalle “nuove virtù.
Anche nel linguaggio il consumismo, di conseguenza, inverte il significato di tutto. Ne parlavamo con l’amico Samuele Atzori. L’altruista è un bieco egoista che cerca il proprio piacere nel far del bene agli altri, mentre l’egoista che inganna il cliente per guadagnare di più è un buon padre di famiglia, uno che ha “ammesso la sua natura”. I buoni che dichiarano di cercare e seguire il bene, infatti, per il consumismo, sono tutti bugiardi, mentre i malvagi “almeno sono sinceri”. Ovviamente questo è falso: in noi ci sono entrambe le nature e seguire la prima è da coraggiosi, mentre la assecondare la seconda è da vili accidiosi. Ma, appunto, il consumismo inverte il linguaggio per giustificare la sua nuova fede. Allo stesso modo l’innamorato che capisce chi ama e segue il suo amore come un ideale che non può rinnegare è melenso, noioso, se insiste troppo è uno stalker, lo si può perfino incarcerare, il dongiovanni, colui che usa le persone per il proprio piacere fisico momentaneo, è invece uno “spirito libero, una mente aperta, uno che conosce il mondo e sa comportarsi con le persone”, e questo vale sia per uomini che per donne. E via e via e via.
Ancora una volta: fortunatamente il mondo non risponde tutto a questo schema, l’umanità resiste e ci sono molte eccezioni, ma la pressione globale (visto che globale è il consumismo) è in questa direzione. Ma poi… globale? No, vi sono delle “bolle di resistenza”, ma il consumismo si dichiara globale per due ragioni: la prima è che è – effettivamente – il sistema sociale che è riuscito a diffondersi sul globo maggiormente nella storia dell’umanità, ma la seconda – più insidiosa – è che vuole negare l’esistenza di una resistenza, vuole fingere di aver già vinto tutto quando ha vinto “solo” la maggior parte del terreno e delle teste. Come Giulio Cesare che non ama si parli del villaggio di Asterix, che però esiste e – come ci insegnano Goscinny e Uderzo – “resiste ora e sempre al giogo dell’impero romano”.
Ad ogni modo, ecco spiegata in breve la radicale differenza per cui dire che “il consumismo è figlio solo del capitalismo” o – peggio – che “il consumismo è solo una nuova versione del capitalismo” è sbagliato tanto quanto lo sarebbe stato chiamare “nuovo feudalesimo” il capitalismo.

Guido G. Gattai

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