NON C’È BISOGNO CHE QUALCUNO COMPLOTTI PERCHÉ CI SIANO I COMPLOTTI

Ancora una volta parlando con l’amico Matteo Abriani, viene fuori la questione seguente: se ci sono i complotti, chi li ordisce, chi complotta?
Per ordine. Questione cruciale nel discorso tra complottisti ed anti-complottisti: innanzitutto, ovviamente non bisogna essere né complottisti (credere che ci sia sempre un complotto a prescindere dall’osservazione di fatti e probabilità) né anti-complottisti (credere che non ci sia mai un complotto a prescindere dall’osservazione di fatti e probabilità), e questo -spero! – è chiaro a chiunque. Bisogna sempre analizzare fatti e probabilità. E di questo abbiamo parlato a lungo, ad soprattutto in questo articolo.
Ma devo aggiungere una cosa altrettanto ovvia che, però, vedo poco chiara per molti: non c’è bisogno che tutti complottino (e nemmeno che qualcuno complotti) affinché ci sia un complotto. Io ricordo sempre un amico che mi disse c’era un complotto ordito contro di lui e che il giorno sarebbe stato portato in ospedale psichiatrico contro la sua volontà e gli sarebbe stato fatto il lavaggio del cervello. In effetti, il giorno seguente, è stato prelevato contro la sua volontà dalla sua casa ed ha subito un TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio). Però nessuno aveva complottato contro di lui. Semplicemente la società è congegnata in modo tale che, quando qualcuno da segni di eccessiva stranezza, fa quella fine. Chi gli aveva fatto quello che lui aveva previsto non si era ritrovato in segreto attorno ad un tavolo illuminato da candele in grasso di neonato per maledire il suo nome. Si trattava di normalissimi funzionari dello stato che probabilmente nel portarlo via avranno anche sbadigliato annoiati dall’ennesimo “pazzo che fa resistenza”. Senza premeditazione, senza cattiveria e senza neppure ubbidire a leggi mostruose come i nazisti di Hannah Arendt. Semplicemente ubbidendo alla monotona e ripetitiva routine della “normalità”. Non siamo più al tempo della “banalità del male”, ma nell’era della “routine del male”.
Quello che va capito del consumismo è che funziona così a tutti i livelli: è un sistema talmente sbagliato che noi compiamo orrori indicibili ogni giorno e in ogni momento, semplicemente non opponendoci al senso comune. Si tratta della sua forza e, fortunatamente, anche della sua debolezza. Nell’esempio che raccontavo, sarebbe bastato un medico che, scherzando, avesse detto “questo non è malato, è imbecille”, per salvare il mio conoscente da indicibili orrori chimici. Se ubbidire al male estremo è facilissimo, anche ribellarsi è molto facile. Non c’è un’inquisizione che avrebbe torturato il medico ribelle, non c’è un plotone d’esecuzione che lo avrebbe fucilato, non avrebbe avuto neppure una minima penalità sullo stipendio. Non siamo nel mondo Orwell, ma in quello di Huxley.
Certo, se poi il mio conoscente avesse compiuto atti criminosi il medico sarebbe stato denunciabile. Quindi, nel dubbio, tutti sono stati zitti e hanno seguito la procedura. Perché, beh, “vedi mai..”. E, ancora, se c’è una massiva disubbidienza civile, la faccenda cambia. A quel punto sì che entra in azione la sanzione, se non basta la polizia e se non basta l’esercito. Ma per rendere il mondo un posto migliore con tantissimi piccoli gesti quotidiani, spazio ce n’è eccome.
Allo stesso modo, per fare il marketing ci vogliono delle persone che accettino di vivere creando bisogni fasulli al prossimo. Ci si può rifiutare. Io l’ho fatto. In tanti possono farlo e in tanti lo hanno fatto. Ci si può rifiutare di vendere panini dal MerDonald’s, di spacciare Cacca Cola, di propinare yogurt Dannone ai bambini. Non ci vuole molto. Basta trovare mestieri onesti. Che sono pochi ma ci sono, e altri se ne possono inventare come suggeriva sempre Tiziano Terzani. Basta accettare di vivere con meno lusso, meno denaro, meno comodità, come l’amico Andrea Bizzocchi e la sua “free family on the road, pur di non trasformare il mondo in un posto in cui è triste vivere. Si può fare il cuoco vegano, l’erborista, l’insegnante, il panettiere, il contadino, l’elettricista, l’idraulico, i mestieri onesti sembrano pochi ma non sono pochissimi alla fin fine. Già scegliendo un lavoro etico ci si leva dalle mani la gran parte dei rischi di far del male passivamente ogni giorno. Poi si può scegliere, volta per volta, di fare anche piccoli gesti di responsabilità attiva. Non comprare un prodotto ma ripararlo, riusarlo o rivenderlo. Aiutare un amico in difficoltà, anche solo ascoltandolo. Studiare per capire il mondo e cosa fare per renderlo un posto più bello. Fare una passeggiata sui monti invece che un giro al centro commerciale. Non acquistare in rete ma dai piccoli commercianti. E via e via…
Il complotto siamo noi, non sono gli altri. Siamo noi che complottiamo contro noi stessi, contro i nostri vicini e contro il nostro ambiente sociale e naturale. E poi, fatto il danno, abbiamo bisogno di psicologi, pasticche, e poi a volte non bastano, ci ammazziamo oppure sopravviviamo in vite grige e insignificanti. Perché fare del male a noi stessi e agli altri? Un televisore più ampio e lucente, che – come dice padre Bernardo Gianni – “trasforma il nostro salotto in un’astronave, ci può dare molta meno felicità che avere dei buoni rapporti coi vicini e coi colleghi, una famiglia unita e dei figli con degli obiettivi e delle speranze.
Senza togliere che, alle volte, la resistenza al male deve essere più netta e decisa e la resistenza passiva, purtroppo, si fa sempre più indispensabile in un numero sempre maggiore di ambiti per resistere a coloro che accettano “la routine del male” e tentano di imporcela. Ma questo accade perché abbiamo lasciato che le cose arrivassero a questo punto. E sarebbe meglio riuscire a rimediare in modo dolce e senza scontri, né violenti né non-violenti. E spesso si può fare.

Guido G. Gattai

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